lunedì 12 ottobre 2009

L'ottimismo è la cura per la crisi, o forse no.


Settimana interlocutoria ed altalenante ricca di colpi di scena che ha fatto muovere in modo consistente il mercato valutario.
La sensazione che si respira sui mercati è che si stia passando da un periodo nero in cui il pessimismo la faceva da padrone, con dati macroeconomici e dichiarazioni allarmanti, ad un periodo in cui regna l’incertezza ma anche la speranza di una ripresa nutrita dai da alcuni dati incoraggianti e da dichiarazioni di vertici economici delle più importanti economie che sempre più spesso si lasciano andare a slanci di ottimismo.
Sempre da più parti dicono che da questa crisi si esce con l’ottimismo e la fiducia, e allora pur non essendo concorde in toto con questa teoria, proviamo a vedere ciò che di positivo è accaduto questa settimana a livello mondiale; questi ultimi giorni hanno visto riunirsi le principali banche centrali ed il primo segnale importante è venuto dall’Australia che ha deciso di alzare il costo del denaro di 0,25 punti percentuali con una mossa che ha una valenza quasi storica per questo periodo economico caratterizzato da una serie di tagli mai verificatasi in precedenza, e poco importa se l’economia australiana era una delle poche a non essere entrate in recessione, l’ottimismo che ci siamo prefissati di seguire ci deve far pensare che questo è un primo forte segnale di ripresa.
Altri segnali positivi arrivano dallo stato di salute dell’economia statunitense che in questi 5 giorni ha visto crescere l’indice ISM ( importante indicatore dello stato di salute dell’economia a stelle e strisce) a 50.9 rispetto ai 48.4 della precedente rilevazione e ha visto diminuire le richieste di sussidi alla disoccupazione da 554k a 521k nell’ultima settimana.
Segnali sicuramente incoraggianti supportati dalle recenti dichiarazioni del capo della Federal Reserve Bernanke, che ha rassicurato tutti sulla prontezza e sulle capacità della banca centrale statunitense a sostenere la ripresa nel momento in cui l’economia ripartirà; poco importa se il FMI, riunitosi sempre questa settimana a Venezia, si sia mostrato pessimista ricordando come si preveda che il tasso di disoccupazione statunitense, già ai massimi storici al 9,8%, possa superare quota 10% nella seconda metà dell’anno.
A proposito della riunione di Venezia del Fondo Monetaria Internazionale, l’ottimismo ci porta a pensare che le dichiarazioni di Trichet concernenti l’uscita dalla recessione e la conferma della volontà di stabilizzare e limitare le oscillazioni sul mercato valutario siano da considerare come segnali positivi; poco importa se questa tranquillità sul mercato dei cambi non riusciamo a vederla e la politica di dollaro forte di Obama non sembra avere gli effetti sperati.
Se guardiamo lo sviluppo del cross Eur/Usd nel corso dell’ultima settimana vediamo come si sia passato da minimi a 1,4696 a massimi a 1,4816: gli eventi che hanno movimentato il cross sono da ritrovarsi in particolare nella corsa del prezzo dell’oro che come paventato dal giornale britannico “The Indipendent” sia dovuta alla decisione delle economie asiatiche di sostituire il dollaro con l’oro come bene rifugio paventando anche l’ipotesi di accordi tra Cina, Russia, Giappone e Francia per smettere di utilizzare il biglietto verde come valuta per l’acquisto del petrolio.
Le parole di Bernanke, che ha chiarito anche come la Fed cambierà strategia di politica monetaria non appena l’outlook macroeconomico migliorerà, hanno spinto la sostenuto il ritracciamento della valuta statunitense che è arrivata fino a quota 1,4716 lasciando però la sensazione che si tratti di un recupero temporaneo.