martedì 19 ottobre 2010

Il mercato valutario segue l'outlook macroeconomico


Il mercato valutario continua a riflettere fedelmente il sentiment degli investitori sull’outlook macroeconomico internazionale.
Al centro delle attenzioni del mercato c’è senza dubbio la valuta statunitense: il trend ribassista del dollaro è ormai ben strutturato ed ha radici tecniche e fondamentali forti che non lasciano spazio a possibilità di un inversione di trend che almeno fino a fine novembre non dovrebbe esserci.
I massimi esponenti dell’economia a stelle e strisce pur senza creare allarmismi hanno confermato ciò che ormai era sotto gli occhi di tutti: la ripresa dei fondamentali statunitensi ha bruscamente rallentato e saranno e forse sono già necessari ulteriori interventi da parte delle autorità economiche a sostegno della ripresa.
Le parole di Geithner e del capo della Fed Bernanke hanno lasciato trasparire una certa preoccupazione confermata dalla volontà del governatore della banca centrale statunitense di attuare ulteriore misure di espansione (politica monetaria) a novembre.
Il segretario del tesoro statunitense, parlando a Palo Alto in un convegno che vedeva riuniti molti imprenditori locali, ha affermato che serve una "paziente pressione" nei confronti della Cina, affichè rivaluti la propria moneta confermano che la svalutazione del dollaro non è una strategia praticabile nè perseguibile.
A fare da contraltare a queste preoccupazioni c’è la situazione macroeconomica europea, che nonostante il disaccordo tra Trichet e Weber sulla prosecuzione della politica di riacquisto dei bond, ha accolto con soddisfazione l’intesa sulla stipulazione di un patto di stabilità economica che, secondo le intenzioni del board, dovrebbe cercare di evitare il ripetersi di situazioni di rischio default nei paesi dell’Unione (vedi Grecia).
L’accordo prevede un percorso che si articolerà in due tappe: la prima, operativa dall’inizio del 2012 realizzabile con la sola modifica della legislazione secondaria UE è quella su cui i ministri hanno trovato l’accordo e cioè sulla mediazione tra le due strade da seguire proposte dai paesi filo-tedeschi (nordici, Repubblica Ceca e Slovacchia) e dai paesi del mediterraneo (Italia, Francia, Belgio, Spagna e Portogallo).
La seconda tappa sarà invece più radicale e prevede la riforma dei trattato UE riguardanti principalmente due punti: il primo riguarda la creazione di un metodo/sistema robusto utile per gestire future crisi anche attraverso l’aiuto del settore privato, il secondo invece riguarderà la sospensione dei diritti di voto per i paesi che violeranno le regole del patto.
Tutto questo in attesa del vertice del G20 di questo fine settimana, in cui i banchieri centrali ed i ministri delle finanze delle più importanti economie internazionali faranno il punto della situazione per capire le azioni da intraprendere nei prossimi mesi e per quel che riguarda il mercato valutario proveranno a trovare un accordo per la riduzione della volatilità in un meeting che si preannuncia “bollente” in tema di valute.
Per quel che riguarda il cross Eur/Usd la sensazione è che la moneta unica continuerà il percorso di rafforzamento “forzato” a causa della evidente debolezza del dollaro e continuerà a oscillare attorno quota 1.40 con possibilità di raggiungimento del target a 1.4140; maggiori indicazioni si avranno a partire da lunedì giorno in cui il mercato valuterà le conclusioni del G20.

giovedì 2 settembre 2010

Traders e governi economici restano in attesa di segnali forti.


La fine dell’estate porta con se una situazione di stallo sui mercati con i principali players che osservano l’evolversi della situazione con un forte atteggiamento di prudenza.
Questa situazione si traduce nei principali listini e nel mercato valutario con cross che rimbalzano in canali laterali senza intraprendere direzioni precise.
Analizzando il quadro macroeconomico possiamo come sempre cercare di fare il punto della situazione: l’attesa di questi ultimi giorni era quasi totalmente conce tratta sulle minutes della Fed che tutti si aspettavano essere più “accomodante” rispetto alle ultime dichiarazioni.
E invece molti esponenti del comitato di politica monetaria della Federal Reserve hanno ribadito la necessità di nuove misure di rilancio dell’economia nel caso in cui i segnali di ripresa dovessero continuare ad essere deboli come negli ultimi mesi; queste parole fanno seguito a dati non incoraggianti che riguardano la produzione e l’occupazione nazionale statunitense.
La recessione dell’economia nazionale statunitense è stata peggiore di quanto si fosse preventivato rileggendo i dati degli ultimi tre anni e di conseguenza anche il Pil dello scorso anno ne ha risentito in maniera consistente; per quel che concerne l’occupazione, il livello rimane allarmante ma negli ultimi mesi il settore privato ha fatto registrare un aumento nel numero delle assunzioni. Se i dati sulle spese al consumo sembrano essere incoraggianti la vera spada di Damocle dell’economia a stelle e strisce rimane sempre il settore immobiliare con le nuove costruzioni residenziali in netta diminuzione.
Unica notizia positiva per l’economia statunitense riguarda i profitti trimestrali delle banche che hanno fatto segnare l’utile più alto dal 2007 grazie soprattutto ai depositi in aumento; come al solito però non è tutto oro quello che luccica e se da una parte i profitti delle banche non possono che far piacere al mercato dall’altra va segnalato come il portafoglio prestiti delle banche sia in continuo calo, sia soprattutto come il 10% degli istituti di credito rischiano il fallimento come riportato da Sheila Bair numero uno dell’FDIC.
Per quel che riguarda il resto delle economie l’Irlanda è sempre più sull’orlo del fallimento come testimoniano i balzi verso l’alto dei credit default swap e dei titoli di stato irlandesi nell’ultimo mese, in attesa della scadenza delle obbligazioni (quasi 25 miliardi di Euro secondo il Financial Times) vero e proprio test per l’economia irlandese.
Le vere sorprese in positivo vengono senza dubbio dall’asse Asia-Oceania con l’economia cinese ed australiana che sembrano non risentire per niente della crisi; se del sorpasso storico del PIL cinese nei confronti di quello giapponese se n’è già parlato molto nei giorni scorsi i numerosi dati macroeconomici positivi dall’Australia hanno in parte sorpreso il mercato; per accorgerci dell’impatto di questi dati basta guardare il dollaro australiano in netto rialzo in quasi tutti i cross valutari ed in particolare nei confronti del dollaro americano nei confronti del quale in neanche un mese è passato da 0.8315 a 0.9024.
Per quel che riguarda l’eurusd siamo come detto in una fase di stallo con i cross che oscilla attorno a quota 1.27; gli investitori in questo momento sono tendenzialmente avversi al rischio e tendono quindi a rifugiarsi in valute più sicure come lo Yen il cui conseguente apprezzamento non sembra preoccupare il governo nipponico che ha comunque fatto sapere di seguire molto da vicino l’evolversi del mercato valutario.

venerdì 23 luglio 2010

il mercato valutario torna a “seguire” i dati macroeconomici


Molto spesso nelle scorse settimane ci è capitato di leggere e scrivere di un mercato valutario più istintivo e meno “logico” con pesanti accuse ai grandi istituti di credito ed ai governi economici internazionali che influenzavano il sentiment del mercato con dichiarazioni e talvolta con falsi allarmismi: specchio fedele di questa situazione è, come spesso succede, il cross Eur-Usd.
Fino a qualche settimana fa la sensazione generale era quella di un’economia europea sull’orlo del tracollo con importanti analisti ed economisti che parlavano addirittura di un abbandono della valuta unica europea dopo il pesante crack della Grecia ed i dubbi riguardanti molte altre economie dell’est Europa ( senza tralasciare le “solite” Irlanda, Spagna e Italia). Quali sono state le conseguenze di questi rumors e di queste dichiarazioni? Euro ai minimi storici a 1,1875 e fiducia del mercato in drastico calo nei confronti della valuta unica e della comunità europea; dagli inizi di giugno sono passati quasi due mesi e troviamo l’euro ballare attorno a quota 1,30 con un movimento rialzista superiore all’8% in neanche 50 giorni.
A questo punto qualunque osservatore si chiederebbe il perché di questo guadagno ed i motivi di questa importante risalita: sarebbe portato a pensare che la congiuntura economica europea è migliorata e che invece lo stato di salute statunitense sia improvvisamente peggiorato.
Per convincerci di questo però dovremmo ignorare il fatto che i problemi dell’unione europea rimangono ancora notevoli, che il problema Grecia è stato solo tamponato ed in parte posticipato, che i paesi dell’est versano in ancora in condizioni critiche (vedi recente taglio del rating dell’Ungheria) e che anche le economie forti come quella tedesca stentano a riprendersi nonostante il buon dato sul settore manifatturiero tedesco per il mese di luglio; dall’altra parte dell’oceano invece le cose non sono certo peggiorate rispetto a qualche mese fa.
L’economia a stelle e strisce stenta a riprendersi dopo la grave crisi com’era normale e prevedibile, ed il settore immobiliare oltre che quello del credito sono ancora in forte difficoltà ed il “yes we can” si sta lentamente trasformando in un “can we?” come confermano le parole del presidente della Fed Bernanke che ha definito l’outlook per l’economia statunitense “stranamente incerto”; la fiducia dei consumatori è in ribasso, le vendite al dettaglio sono in calo, le vendite di case pure, i nuovi cantieri edili e licenze di costruzione anche e le ore lavorative per settimana sono basse. L'unica cosa che non sta calando sono le scorte, ovvero roba invenduta che si sta accumulando negli scaffali dei grandi magazzini. Anche gli appartamenti sfitti e le case rimaste senza un acquirente non fanno ben sperare, per non parlare dei molteplici casi di default sui prestiti.
Tutto questo disegna un quadro che è negativo ora come lo era agli inizi di giugno e allora ci domandiamo cosa è cambiato; come sempre in questi casi le risposte sono molteplici ed il più delle volte molte sono in parte corrette e non si escludono a vicenda.
Una possibile spiegazione è che il mercato si stia “riallineando” e stia diventando più razionale muovendosi in relazione dei dati fondamentali più che in base ai rumors o a speculazioni.
Guardando l’attualità, importante se non decisivo per il destino immediato del cross Eur/Usd sarà il risultato degli stress test sulle banche europee che potrebbero portare la valuta unica europea, in caso di risultati positivi, a sfondare con decisione quota 1,30 ed in caso contrario ritracciare fino a 1,25.

venerdì 2 luglio 2010

L’Euro supera quota 1.25 nei confronti del dollaro e prova un’inversione di trend.


Il rialzo della valuta unica europea di queste ultime ore conferma il cambiamento in atto negli investitori nell’analisi dei mercati.
Non si tratta certo di una rivoluzione clamorosa ma il mercato ora guarda, valuta e si “muove” monitorando la situazione dell’economia europea ( mettendo in secondo piano l’economia statunitense, da sempre catalizzatore dell’attenzione mondiale ) ed ogni notizia di rilievo proveniente dal vecchio continente provoca grandi scossoni sul mercato: la causa del movimento al rialzo della valuta unica europea può essere ritrovata nelle buone notizie provenienti dall’economia spagnola che ha comunicato di essere riuscita a vendere il suo target di 3.5 miliardi di euro in bond maturati da cinque anni.
A dire il vero, questo dato seppur incoraggiante è inferiore alla domanda del mese scorso (rapporto bid to cover in calo) ma ciò che infonde fiducia al mercato è che il premio richiesto per incoraggiare gli investitori a comprare i bond spagnoli sta crescendo più lentamente del previsto e che quindi la fiducia degli investitori nell’economia iberica è in ascesa.
Altro dato incoraggiante che ha sicuramente aiutato l’euro è arrivato dalla Germania che ha visto crescere nel mese di Maggio ’10 sia le vendite al dettaglio che il settore manifatturiero; come sempre però vanno fatti dei distinguo tra quella che può essere l’euforia dei mercati intraday e quello che è il sentiment generale che vede comunque prevalere un out look negativo testimoniato dall’aumento contemporaneo e consistente dell’ Euribor a 3 mesi e del libor Eur.
Quest’ultimo dato testimonia che gli istituti di credito europei non si fidano l’uno dell’altro e la paura nel prestare denaro è sempre la stessa: la possibilità (concreta) che le banche detengano nelle loro posizioni asset tossici; a questo punto la necessità di una riforma riguardante la trasparenza bancaria nei confronti della clientela e del sistema stesso ritorna a ricoprire uno degli aspetti più sottovalutati dai vertici economici mondiali.
L’outlook statunitense non è certo migliore rispetto al vecchio continente: se qualche giorno fa Greenspan (ex governatore della FED) esprimeva i suoi dubbi e i suoi timori sulla capacità dell’economia statunitense di recuperare capitali sul mercato e quindi riproponeva l’esigenza di una radicale riforma fiscale, i dati macroeconomici di questa settimana confermavano le difficoltà e come abbiamo visto affondavano i listini azionari.
I principali dati pubblicati in settimana hanno visto calare la fiducia dei consumatori ( 52.9 vs. 62.7), stessa sorte per l’indice sull’occupazione nel settore “Non-Farm” (13k vs. 59k); giovedì poi è stata la giornata che ha maggiormente contribuito al crollo del dollaro con un aumento delle richieste di sussidi alla disoccupazione di 13k unità rispetto alla precedente rilevazione, l’indice ISM manifatturiero sceso a 56.2 rispetto al 58.9 delle previsioni ma soprattutto ha pesato il calo del 30% nel settore immobiliare riguardante il Pending Home Sales.
Interessante sarà vedere come reagirà il mercato ai dati di questo pomeriggio provenienti dagli states riguardanti la disoccupazione che potrebbero spingere il cross Eur/Usd fino a quota 1.30 in un movimento di breve periodo che però non dovrebbe cambiare il trend di lungo che rimane comunque ribassista.

venerdì 18 giugno 2010

Il sistema bancario europeo tiene bene e fa respirare l’euro.


Settimana dai due volti per la valuta unica europea che dopo un inizio difficile in cui ha aggiornato i minimi da quattro anni a 1,1877 ha recuperato prepotentemente per risalire sopra quota 1,24.
La difficoltà di inizio settimana era sostanzialmente dovuta alla costante preoccupazione del mercato riguardante la posizione debitoria degli stati dell’Unione Europea; dopo il caso Grecia l’allarme si è spostato su altre economie “fragili” sull’orlo del fallimento come quella islandese.
Per far fronte a questa situazione gli esperti dell’UE hanno siglato l’accordo tecnico per veicolare gli aiuti ed il sostegno accordati dai ministri delle Finanza dell’Eurozona: la soluzione è stata individuata nella creazione di una società a responsabilità limitata di diritto lussemburghese. Va riportata anche la decisione, seppur prevedibile e poco influente, della BCE di lasciare i tassi invariati all’1%.
Il consiglio europeo dei capi di stato e di governo, riunitosi nella giornata di ieri, ha confermato le indiscrezioni degli scorsi giorni annunciando la pubblicazione degli stress test delle banche europee entro la fine di luglio.
Questa riunione ha ribadito anche la necessita di misure di controllo più efficaci per il settore bancario e di vincoli più restrittivi per le banche che dovranno reggere in un ambiente economico decisamente più difficile; molta soddisfazione è trapelata dalle parole del governatore della Banca d’Italia che ha lodato la condizione di buona salute degli istituti di credito nostrani che secondo le parole di Draghi potranno solo beneficiare dalla pubblicazione degli stress test.
Parole importanti anche da parte di Angela Merkel che ha auspicato l’introduzione di una serie di imposte sugli istituti bancari e di una tassa sulle transazioni finanziarie; questi argomenti verranno però sicuramente trattati nel prossimo G20 che si preannuncia molto importante.
Passando alle faccende d’oltre oceano, l’economia statunitense prosegue il trend delle ultime settimane senza fornire dati macroeconomici di rilievo: Il dipartimento al Commercio statunitense ha comunicato che nel mese di aprile le scorte all’ingrosso negli USA sono aumentate dello 0,4%, contro le aspettative degli analisti che prevedevano un rialzo mensile dello 0,5%. Anche le vendite all’ingrosso hanno registrato un rialzo congiunturale dello 0,7% nel mese di aprile a 351,1 miliardi di dollari. Dal rapporto Beige Book, che la Federal Reserve rilascia due settimane prima del suo vertice di politica monetaria, si ricava che la crescita economica negli USA "è migliorata" a maggio ma è ancora modesta, i prezzi dei beni sono stabili, mentre le condizioni del mercato del lavoro appaiono in lieve recupero. Il report indica un incremento delle spese per consumi e una ripresa nel settore turistico, che potrebbe però essere penalizzato dal disastro ambientale nel Golfo del Messico.
Negli USA, il saldo della bilancia commerciale ad aprile mostra un ulteriore allargamento a 40,3 mld di dollari, da 40,0 mld di marzo. Il deficit commerciale ha toccato un minimo a 25,7 mld di dollari a maggio 2009 e da allora è tornato ad allargarsi, spinto dalla ripresa della crescita americana. Sempre negli USA, diminuiscono di 3 mila unità le richieste settimanali di sussidi alla disoccupazione, a 456 mila dalle precedenti 459 mila. Lo stock di richieste è pari a 4,46 milioni rispetto ai 4,71 milioni rettificati della settimana precedente. Negativi e inferiori rispetto alle attese degli analisti i dati sulle vendite al dettaglio negli Stati Uniti nel mese di maggio. Il dato segnala una riduzione dell’1,2% (attese a 0,2%), dopo l’aumento dello 0,6% del mese precedente, mentre il dato core (escl. auto e gas) evidenzia una contrazione più accentuata dello 0,8% dopo l’incremento dello 0,6% del mese di aprile (dato rivisto dal precedente 0,4%).
Passando infine ad analizzare il recupero della sterlina l’idea è che il mercato confidi molto nel recupero dell’economia britannica e l’impressione è che si possa assistere ad un movimento pro-sterlina come come quello di marzo ’09 quando il cable passò in 5 mesi da 1.3650 a 1.70.

martedì 1 giugno 2010

Mercato in attesa di segnali importanti.


Nessuna novità di rilievo sui mercati che restano in attesa. Traders che restano in “trincea” dopo un lunedì anomalo con la borsa statunitense e quella britannica chiuse e dopo settimane di grandi speculazioni.
Qualche giorno fa parlavamo di un euro che sembrava essere ritornato a livelli più veritieri e questi ultimi giorni di contrattazioni non hanno di fatto alterato in nessun modo questo quadro che vede la valuta europea proseguire il trend negativo con una forte resistenza a quota 1.2145 minimo storico del grafico da aprile 2006 quando il dollaro si era portato a 1.2033 nei confronti dell’euro.
Come spesso è successo dall’inizio della crisi ad oggi, i mercati finanziari (ed in particolar modo per quel che ci concerne il mercato valutario) hanno alternato giorni, qualche volte settimane di grande volatilità con forti oscillazioni a periodi di apparente stabilità in cui il sentiment di mercato ha spesso indirizzato l’incertezza di trader.
Perché come spesso ci è capitato di affermare in periodi come questo è l’incertezza che tiene le redini del mercato e spesso bastano pochi segnali negativi male interpretati per affondare una valuta; l’incertezza sui mercati finanziari molto spesso si tramuta però in irrazionalità che innesca oscillazioni che spesso sembrano non avere reali spiegazioni.
A tal proposito molta attenzione va prestata alle ultime notizie provenienti dalle principali economie mondiali; per quel che riguarda l’Eurozona il bollettino pubblicato dalla banca centrale europea riporta le difficoltà crescenti del settore immobiliare, le difficoltà delle banche di rifinanziare le proprie passività ed il problema forse troppo frettolosamente accantonato della crisi delle economie dell’est.
Ad aggravare la situazione in serata è arrivata la notizia delle dimissioni del presidente tedesco Horst Kohler ( dopo le recenti dichiarazioni riguardanti la convenienza per l’economia tedesca di una prosecuzione della guerra in Afghanistan) che ha colto di sorpresa la stessa Merkel che in queste settimane sta cercando per quanto possibile di creare calma e stabilità all’interno dell’economia guida dell’unione europea.
Dall’altra parte dell’oceano non arrivano grandi notizie macroeconomiche ed il mercato concentra la sua attenzione sulle economie asiatiche che rallentano la propria crescita ( PMI Manifatturiero cinese 53.9 vs. 55.7) e mostrano forse i primi segnali di difficoltà che per quel che riguarda l’economia giapponese sono causate in parte dall’apprezzamento dello Yen che non favorisce le esportazioni (settore trainante dell’economia del sol levante).
Il quadro generale per quel che riguarda le valute rimane il medesimo con l’euro che pur continuando a rimanere in un trend ribassista potrebbe ritracciare fino a quota 1.2380 e con il dollaro e lo yen che rimangono le valute più comprate.

martedì 25 maggio 2010

Non tutti i mali vengono per nuocere.


In un clima di crescente allarmismo per la condizione dell’economia europea forse bisognerebbe fermarsi un attimo e riflettere su cosa davvero è successo, sul perché sia successo e se le conseguenze siano veramente tutte negative o ci sia in tutto questo anche qualcosa di positivo.
Due anni fa iniziavamo a parlare di crisi dei subprime e l’anno scorso abbiamo visto concretizzarsi il crollo del sistema finanziario e borsistico degli stati uniti: quello che sembrava essere il punto di forza della prima economia mondiale e che per anni è stato considerato il fiore all’occhiello degli Stati Uniti si è rivelato essere la causa prima di una delle più grandi crisi dopo quella del ’29. Molte sono state le analisi e i tentativi di trovare delle spiegazioni plausibili per quel che è successo ma uno dei motivi più evidenti è stato senza dubbio la mancanza di chiarezza e regolamentazione che circondava il mondo della finanza che per molti anni ha permesso a grandi istituti finanziari di nascondere e “camuffare” bilanci e debiti.
Proviamo quindi ora a creare un parallelo ed un confronto tra la crisi statunitense e quella che sta attraversando ora il vecchio continente.
Le cause di questo momento di difficoltà sono svariate e la stessa crisi statunitense è stato il primo tassello che cadendo ha innescato il domino che ha inevitabilmente coinvolto il sistema bancario europeo ma uno dei più grandi problemi per l’Europa è stata la mancanza di chiarezza dei bilanci dei governi che troppo spesso (vedi il recente caso della Grecia) sono stati mascherati grazie a manovre politico – finanziarie non sempre troppo chiare.
In entrambi i casi la crisi non ha fatto altro che togliere un sottilissimo velo che copriva la realtà dei fatti ed ha riportato tutti, bruscamente, ai valori reali delle economie creando inevitabilmente panico sui mercati.
Come la crisi dei subrime ha evidenziato le debolezze del sistema finanziario statunitense causando il fallimento di società importanti come Leheman Brothers ed il salvataggio da parte del governo di colossi bancari/assicurativi quali Freddi Mae e AIG, la crisi europea ha mostrato le difficoltà del sistema economico del vecchio continente causando il quasi default della Grecia salvata in extremis da BcE e FMI e costringendo le economie meno solide (vedi Italia, Irlanda, Spagna, Portogallo) a varare urgenti manovre finanziarie.
All’inizio dicevamo che non tutti i mali vengono per nuocere ed infatti proseguendo sempre nel parallelo notiamo come una delle riforme più importanti portate avanti dall’amministrazione Obama sia stata quella riguardante una profonda riforma della finanza statunitense ed in particolar modo di una regolamentazione del settore; passando al caso europeo questa crisi dovrà riuscire a far aprire gli occhi ai governi mettendo in evidenza l’esigenza di una profonda riforma dell’amministrazione economica che dovrà eliminare i troppi e gravi sprechi e dovrà ripartire dalla rivalutazione dell’economia reale.
Ed è qua che entra in gioco un ulteriore aspetto positivo e cioè la svalutazione dell’Euro: il catastrofismo che si è creato attorno al crollo della valuta europea è infatti giustificato solo in parte.
Il valore reale dell’Euro non era quello dell’agosto 2008 quando aveva superato 1.60 e non era neanche 1.5139 di fine novembre 2009; 1,22 sembra essere un cambio equo per la valuta di un economia non solida come si credeva e che da una svalutazione di questo tipo non può fare altro che approfittarne e rilanciare l’export troppo spesso in difficoltà a causa di una valuta sopravvalutata.
Passando all’attualità dei cambi, dopo giorni di altissima volatilità i mercati hanno ricominciato la settimana con un po’ più di tranquillità continuando il trend che vede gli investitori poco propensi ad investire in prodotti ad alto rischio affidandosi a valute rifugio come il dollaro e lo yen in rialzo su quasi tutti i cross più importanti.
Bene anche le commodities con l’oro che supera quota 1187,00 e che resta un bene rifugio molto richiesto dal mercato.